Pensieri, ricordi su San Leonardo di Cardoso
tratto da libro del Maestro Pasquale Ancillotti
(dedicato a suo padre)
E' la domenica di Pentecoste. Il mio corpo è prigioniero in un letto dell'ospedale di Massa, ma il pensiero, componente misteriosa dell'uomo, va al piccolo Santuario di S. Leonardo situato sul crinale aspro e selvaggio del colle che dalla Penna Rossa, scende precipite a valle, quasi a sommergere le ultime case di Cardoso.
Dall'archivio della memoria escono pagine e pagine di ricordi, di anni vicini e lontani e...lontanissimi. Cerco di fissarli lasciandomi
invadere da un sentimento nostalgico e, come se il passato si facesse presente, anche dalla gioia la quale malgrado tanta sofferenza intorno, è qui a farmi compagnia.
E' la festa di Pentecoste: la Pasqua di Rose.
Così la chiamava l'antica gente della mia Versilia. La festa si sta celebrando lassù. Una volta durava tre giorni di seguito con pellegrinaggi, preghiere, canti, celebrazioni liturgiche e, l'ultimo pomeriggio, con vespri solenni e processione.
Allegre colazioni e pranzetti fuori restrizione si consumavano sulle "arre" ripulite dai cardi all'ombra discreta dei castagni che, proprio in quei giorni, facevano il pieno delle foglie. Si aprivano queste, dall'apice dei rami grigi, come serici fiocchi di un verde tenerissimo su cui i raggi del sole creavano toni cangianti luminosi.
Profumo di selva, di legna spaccata e accatastata a seccare, di eriche, di brentoli, di felci giganti, di fiori dal sapore di miele, di erbe aromatiche intrise di sole entrava per le narici e sembrava affluire dentro i polmoni, nel cervello, nel sangue.
Non c'era altro colle con tale profumo. Diverso era infatti quello del Colle della Merla, dell'Orzale, della Pania, delle Fonti di Moscoso e di Mosceta.
Profumi, colori, canti d'uccelli, comitive festanti, banchetti piazzati quà e là con sopra cianfrusaglie varie, dolciumi, bibite, gelati, rintocchi giulivi, rovesciati a grappoli sulla folla dalla campanella della chiesetta, suono di fisarmonica che invitava ...al ballo di chiusura sulla piazzetta di un metato sottostante, prima che il sole (l'ultimo giorno) se ne andasse a dormire nel vicino mare...;
erano le componenti della festa che, nel suo profano aspetto, potremmo chiamare la sagra della Primavera.
Ma per ciò che riguardava l'aspetto religioso, il regista era mio padre. Uomo semplice ma non ignorante, ex emigrante in Argentina, Paraguay e Cile, allevatore di pecore, boscaiolo ed esperto potatore e carbonaio. Un autentico e, perchè no, nobilissimo montanaro.
Era soprattutto un uomo di Fede che al credere ancorava il vivere quotidiano.
Il suo saluto, rientrando a tarda sera dal lavoro, era: "Sia lodato Gesù Cristo!". Più tardi, resomi indipendente, pur non avendo l'età per farlo, nè lavoro, nè mezzi per vivere e la mia vita era quella di un cane randagio, ogni tanto andavo a trovarlo.
Nell'accomiatarmi mi abbracciava pronunciando queste quattro stringate parole: "Ricordati che sei cristiano!". La Pentecoste era la sua festa, la festa del Santuario del quale era custode da quando, con la famiglia, era tornato, diceva lui, dalle terre che si trovavano al di là del "gran pozzone", cioè dell'Atlantico.
Provvedeva lui alla manutenzione della chiesina. Provvedeva anche il danaro per far fronte alle spese andando alla questua, in determinati periodi, di paese in paese, di casolare in casolare, sia in Alta Versilia che in quella parte della Garfagnana che
con essa confina. Generalmente raccoglieva offerte in natura: lana al tempo della tosatura delle pecore e grano al tempo
della mietitura. E poi patate, fagioli e qualche formetta di cacio pecorino.
Tutto poi veniva venduto all'incanto sulla piazza della chiesa di Cardoso una domenica mattina dopo la Messa.
Come avesse fatto a portare a spalla tutta quella roba, Dio solo lo sa.
Io ricordo soltanto l'ansia dell'attesa che tutti invadeva, specialmente quando andava al di là del passo di Mosceta o
della foce di Petrosciana ed il ritorno si protraeva di qualche giorno, e sempre di notte.
Allora non conoscevo la zona delle Turriti. E immaginavo il cammino di mio padre in un mondo fantastico: per fitte
boscaglie o per dirupi alti nel sole, per sentieri da capre sull'orlo di vertiginosi abissi o lungo torrenti, rumorosi
d'acqua, incassati in gole di monti.
Le invocazioni che mia madre rivolgeva alla Madonna di S. Leonardo si elevavano sullo sfondo di questo paesaggio, ora nel sole ora nel buio,dove un uomo, con un peso sulle spalle,faticosamente arrancava.
Qualcuno si chiederà che cosa c'entra tutta questa storia con la festa della Pentecoste a S. Leonardo.
Altrochè se c'entra! Ne è addirittura l'indispensabile prologo il quale non si chiudeva che con gli ultimi,sei, sette giorni
precedenti la festa stessa.Erano i giorni in cui bisognava trasportare lassù,a spalle,tutto ciò che occorreva,sia per
l'addobbo dell'altare e della chiesa che per le varie funzioni liturgiche.
Sono i giorni su cui maggiormente si concentrano i miei pensieri,
i ricordi,e tanta,tanta nostalgia.
Per quasi una settimana mio padre faceva la spola, parecchie volte al giorno, fra Cardoso e S. Leonardo.
Partiva con la prima cassa e la portava fino al poggio, detto posatoio, da parte alla marginetta del Canaletto.
Tornava
indietro,prendeva un' altro carico che portava ancora più in alto.Ripeteva tre,quattro,anche cinque volte l'andirivieni,di posatoio in posatoio,fino all'ultimo sulla piazzetta della chiesina.
Quando il viaggio non aveva tanti su e giù prendeva anche me a fargli compagnia. E allora era anche la mia festa.
Nei momenti di sosta uscivan dalla sua bocca ricordi di terre vicine e lontane, vicende d'altri tempi e d'altri luoghi, storie di uomini primitivi le cui caverne, come la Buca Delle Fate presso Cardoso, furono occupate dalle streghe.
Il tono della voce acquistava un tono particolare, incantatore, come quello di un navigato narratore di fole.La mia immagine si accendeva: vedevo le streghe uscire di notte e andarea scorazzare per le selve e per i vicoli dei villaggi fasciati dal silenzio,dalla paura,dal buio più nero.A Cardoso immaginavo il luogo dei loro convegni sabbatici in quell'arco
lungo e scuro,che si trovava ai piedi della torre (distrutto dalla alluvione del 19 giugno del 1996)
che secondo mio pdre ,avrebbe avuto origini romane.
Un'altra storia quantomai interssante perchè aveva per teatro il colle che stavamo salendo e l'altro,quello della Colombetta,
che avevamo di fronte.Quì entrava sulla scena Castruccio Castracani.Arrivò questi un giorno dalla Garfagnana e,attaverso la foce di S. Giovanni, piombò nella valle a seminare rovine e morte.La città delle Casamente sopra la Colombetta fu rasa al suolo.Il nome città faceva più effetto.Più grandicello,quando con altri ragazzi andavo in cerca di nidi,passando in quel punto provavo una certa impressione:chissà che gli sfacciumi di pietra non nascondessero gli scheletri di quegli antichi sfortunati abitanti.Gli scheletri! Mio padre diceva che intorno alla chiesina c'era un cimitero.Una volta che aveva dovuto fare
uno scavo disseppellì delle ossa umane di dimensioni oltre il normale.Da dove avevano portato quei morti?
Ed eccoci finalmente sulla piazzetta di S. Leonardo L'arrivo e l'entrata in chiesa era per me emozionante.Aprendo la porta si provocava,all'interno,un fruscio intenso,uno svolazzare di uccelli scuri in cerchi disparati che si intersecavano a vicenda.
Poi,piano,piano,tornava la calma:molti di quegli uccelli scuri volavano fuori all'aperto,altri,dopo giri e giri,con un movimento strano delle ali,altrettanto strane,tornavano ad aggrapparsi ai travicelli del soffitto.
Non erano altro che pipistrelli.Vivevano lì da un anno all'altro,liberi di uscire nelle ore nottturne e di rientrare attraverso due finestrelle sempre aperte,munite di una grossa grata di ferro.
Non ricordo come se la passassero in quei tre giorni di festa. Entrati in chiesa, mio padre, noncurante di tutto quel movimento, si dirigeva all'altare sul quale accendeva due candele e quindi,con una canna, faceva scorrere via la tenda che copriva un grande dipinto.
La Madonna,con un'aria da popolana,ci guardava con occhi dolci e fermi mentre il Bambino Gesù si aggrappava a Lei voltandoci le spalle,ma non la testa,scoprendo così il volto "fugastro" di un bimbo nato e cresciuto nei boschi.
Alla scopritura seguivano le preghiere che io,sull'esempio di mio padre,recitavo con molto fervore.
Come ricompensa alla compagnia e ai piccoli aiuti che a lui davo,avevo il permesso di suonare la campanella.
Dal suo campaniletto a vela essa annunciava, per mezzo mio,che le feste stavano per cominciare.
Tre notti passavamo lassù dormendo su sacchi ripieni di paglia: la prima notte nella saletta della canonica, ma
le altre due in chiesa da parte all'altare.Nel tabernacolo c'era il S.S.Sacramento e non potevamo lasciarlo solo.
Non dirò che fossi tranquillo anche se accanto a mio padre.
I pipistrelli mi facevano paura, i morti sepolti intorno alla chiesa ancora di più e le streghe mi dava
l'impressione che fossero lì, a stralocchiare, attaverso le sbarre delle due finestrelle.Ripensandoci più tardi, da grande,
e ora da adulto,la scena di quel babbo e del suo bambino che dormono lì da parte all'altare,mi si presenta straordinariamente bella e quasi la commozione mi assale e...mi vince.
Grazie, o babbo!
Ed ora, a che seguitare il racconto? Della festa è stato detto quasi tutto anche se in breve.
Lasciatemi dormire col mio babbo ai piedi di Gesù.